Agenpress – L’Italia deve riformare la legge sull’ergastolo ostativo, che impedisce al condannato di usufruire di benefici sulla pena se non collabora con la giustizia. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo, rifiutando la richiesta di un nuovo giudizio avanzata dal Governo italiano dopo la condanna – che adesso diventa definitiva – emessa il 13 giugno scorso.
La Corte dà torto all’Italia e non accoglie il ricorso del governo contro la sentenza del 13 giugno che bocciava il cosiddetto “fine pena mai” in quanto – secondo la giurisprudenza della Corte – a chi è detenuto non si può togliere del tutto anche la speranza di un recupero, ma al soggetto in carcere va riconosciuta la possibilità di redimersi e di pentirsi ed avere quindi l’ultima chance di migliorare la propria condizione.
L’Italia, nel ricorso presentato a settembre aveva chiesto che il caso dell’ergastolo ostativo, previsto dall’Articolo 4bis dell’ordinamento penitenziario, fosse sottoposto al giudizio della Grand Chambre, l’organo della Cedu che affronta i casi la cui soluzione può riguardare tutti i paesi della Ue.
Al vaglio della Cedu un articolo della legge sull’ordinamento penitenziario, il 4 bis. La norma, dall’inizio degli anni 90, stabilisce che i detenuti all’ergastolo che hanno commesso reati particolarmente gravi – non solo di mafia e terrorismo, ma anche quelli che riguardano, per fare solo alcuni esempi, la tratta di esseri umani, la riduzione in schiavitù, la violenza sessuale di gruppo e alcuni delitti – non possono usufruire beneficiare delle misure alternative alla detenzione, di permessi premio o dell’assegnazione al lavoro fuori dalle mura del carcere, a meno che non collaborino con la giustizia.
Si tratta, dunque, di un regime particolarmente duro rispetto a quello scontato da altri detenuti, messo a punto per rescindere nella maniera più drastica possibile il legame tra chi ha commesso crimini efferati – di stampo mafioso e terroristico in particolare – e il contesto territoriale in cui viveva e delinqueva. E per incentivare la collaborazione dei boss con la giustizia. Per il tribunale di prima istanza della Cedu, che si era espresso il 16 giugno, queste disposizioni sono contrarie alla Convenzione dei diritti dell’uomo, perché violano il diritto del condannato a non essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti. Per molti esperti del settore, però, nel giudizio non si teneva conto della specificità della situazione italiana e della lunga lotta che le istituzioni hanno dovuto, e devono, combattere contro la criminalità organizzata.
Al momento i detenuti all’ergastolo, senza possibilità di uscire dalle sbarre, sono 957. Cosa cambierà? Nessun automatismo consentirà loro di uscire prima dal carcere, potranno però chiedere al tribunale di sorveglianza di allontanarsi dalla struttura qualche ora, per incontrare i familiari o per lavorare, oppure gli arresti domiciliari. Il giudice prima di decidere dovrà vagliare le informative delle varie Direzioni distrettuali antimafia o dei loro vertici nazionali.